APPROFONDIMENTO
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4. L’impatto emotivo degli studi di settore rispetto al valore di congruità.
Com’è a voi noto il 22 aprile la
SOSE, presente l’Agenzia delle entrate e la CNA, collegata su 28 sedi del
territorio in web-streaming che ne avevano richiesto il collegamento (cfr
Com. trib. 30.03.2009
n. 11 e Com. trib. 16.04.2009
n. 22)([1])
- insieme alle altre quattro Confederazioni dell’Artigianato e del Commercio -
ha illustrato gli effetti dei correttivi congiunturali ai ricavi stimati dagli
studi di settore per cogliere l’effetto della crisi economica già in atto nel
2008. Si tratta cioè, della rappresentazione degli effetti sulla congruità dei
correttivi congiunturali studiati e messi a punto dalla SOSE sugli effetti della
crisi sul 2008, dietro suggerimento e contributo fattivo anche della CNA,
attraverso la campagna di raccolta delle informazioni, i cui importanti
risultati erano stati messi in evidenza durante la videoconferenza del 4 marzo
2009 (cfr Com. trib. 30.03.2009
n. 11). E’ stato cioè messo in evidenza il risultato dei
correttivi approvati dalla Commissione Esperti del 2 aprile scorso (cfr Com.
trib. 02.04.2009 n. 17).
Costituisce, quindi, una tappa importante del
percorso di revisione ed adeguamento di tutti i 206 studi di settore a valere
per l’anno 2008, avviato e suggerito anche dalla CNA, già dal 6
novembre 2008, nell’ambito della
riunione straordinaria della Commissione Esperti. (vedi documento ufficiale
della Commissione esperti)([2]).
Esigenza poi ribadita con forza dal Segretario
generale Sergio Silvestrini con il Direttore dell’Agenzia delle Entrate
Attilio Befera, nell’ambito della riunione tenutasi lo scorso 12 febbraio;
presenti tutte le associazioni firmatarie il protocollo sugli studi di settore
del dicembre 2006 (vedi comunicato stampa congiunto dell’incontro).
E’ bene ribadire, infatti, che il
percorso di revisione degli studi di settore, come necessità, è emerso proprio
nell’ambito delle riunioni di revisione degli studi di settore, luogo nel
quale gli imprenditori, nostri associati, hanno avuto modo di sottolineare sin
già dalle prime riunioni avvenute al rientro dalle ferire estive, la gravità e
repentinità della crisi. Questo per sottolineare che la rivendicazione
dell’inadeguatezza degli studi di settore alla stima dei ricavi relativi al
2008, è stata messa in evidenza da tutte le categorie facenti parte la
Commissione degli Esperti per gli studi di settore, non appena si sono appresi i
primi dati che evidenziavano la nascita della crisi economica anche nel nostro
Paese.
Tutte le imprese hanno così la possibilità di confrontarsi già con riferimento all’anno 2008 (cioè con i versamenti del 16 giugno 2009), con un ricavo stimato dagli studi di settore che tiene conto degli effetti della crisi economica, e decidere in modo consapevole il comportamento da adottare nel prossimo adempimento dichiarativo.
Al fine di rendere evidenti gli effetti dei correttivi in termini di riduzione dei ricavi di congruità occorre attendere il rilascio del programma “Gerico”: software, che come vi è altrettanto noto, consente di effettuare il passaggio dai dati strutturali e contabili delle imprese, al ricavo di congruità. Il programma, dovrebbe essere messo a disposizione degli portatori sul sito dell’Agenzia delle Entrate e delle società di software già da questa settimana. Vi segnaliamo che il programma darà indicazioni distinte tra il ricavo stimato che emerge dall’applicazione degli studi di settore validi per il 2008, senza l’effetto dei correttivi, e l’ammontare di ricavi stimati dopo l’applicazione dei quattro diversi correttivi congiunturali approvati il 2 aprile dalla Commissione Esperti. Sia il funzionamento del programma “GERICO” sia gli effetti dei correttivi sui ricavi di congruità stimati saranno evidenziati in una prossima videocomunicazione, sempre dalla SOSE, e sempre in web-streaming. Sarà nostra cura, come sempre, indicare la data e le modalità di prenotazione con un’ apposita comunicazione tributaria.
Proprio al fine di meglio comprendere l’azione posta in essere dalla Confederazione, nell’adeguamento degli studi di settore alla nuova situazione di normalità economica nei periodi di crisi economica, si ritiene sia fondamentale ricordare brevemente quali sono stati gli obbiettivi politici che si è inteso raggiungere con l’introduzione degli studi di settore.
E’ vero, infatti, che gli studi di settore sono stati pensati come progetto politico nella metà degli anni ottanta, al fine di risolvere diversi problemi che le imprese avevano all’epoca, nei rapporto con l’amministrazione finanziaria in sede di accertamento:
- l’effettuazione di accertamenti da parte dell’Amministrazione Finanziaria ovvero dalla Guardia di finanza, attraverso metodi induttivi erratici e comunque non strutturati tramite metodi scientifici, ed in ogni modo, non uniformi sul territorio nazionale;
- l’impossibilità delle categorie interessate di intervenire direttamente nella costruzione del metodo induttivo di accertamento utilizzato per la verifica delle PMI;
- la possibilità dei contribuenti di difendersi solamente tramite l’instaurazione di un contenzioso, che creava ansia, preoccupazione e, comunque, dispendio di soldi per le imprese;
- la presenza di un pregiudizio forte di evasione su tutta la categoria delle imprese, senza alcuna possibilità di prova contraria, anzi confermato e avvalorato proprio dagli accertamenti erratici e molto spesso totalmente o parzialmente infondati.
Proprio tutti questi fattori hanno creato le spinte alla creazione di un sistema di stima induttiva dei ricavi delle imprese e dei professionisti, a valere su tutto il territorio nazionale, basato su procedure econometriche scientifiche, rimanendo ferma la loro natura di stima dei ricavi e mai di richiesta. Inoltre per evitare che l’unica possibilità di rivendicare e giustificare il mancato raggiungimento dei ricavi estimati dallo studio di settore si avesse solo attraverso un estenuante contenzioso, si è suggerita ed ottenuta, la possibilità di confrontarsi con gli uffici dell’attuale Agenzia delle entrate prima dell’instaurazione del contenzioso, cioè creando quella fase meglio nota come contraddittorio, prima assolutamente eventuale, ed in ogni caso, utilizzata in modo residuale dall’amministrazione finanziaria.
Ed è proprio conoscendo questa sproporzione che si è suggerita l’introduzione della disposizione che vincola l’amministrazione finanziaria all’uso degli studi di settore in fase di accertamento (cfr. art. 10, comma 4-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146). A partire dai controlli effettuati sull’anno 2006, infatti, tra gli accertamenti a mezzo studi di settore e le altre forme di accertamento c.d.. «analitico induttivo» è stata fissata una regola di priorità molto importante: la regola prevede in primo luogo una soglia del 40% dei ricavi dichiarati, entro la quale non è possibile effettuare altri metodi di accertamento induttivi che, tuttavia, non può mai eccedere i 50.000 euro. In secondo luogo, si afferma che, ad ogni modo, in assenza di una contestazione dei dati comunicati nella dichiarazione annuale, gli Uffici per superare l’accertamento a mezzo degli studi di settore devono indicare nell’avviso di accertamento «le ragioni che inducono l’Ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente».([4]) (cfr Com. Trib. 19.12.2006 n. 71. § 3 e Com. trib. 18.01.2007, n. 9)
Nella sostanza, gli studi di settore devono essere considerati quale strumento di valutazione aziendale a contenuto prettamente matematico statistico sofisticato che introduce due momenti di confronto delle categorie e dei singoli contribuenti con l’Agenzia delle Entrate, cioè momenti c.d. di «compliance». Un primo momento, nella fase di costruzione dello studio di settore: nelle riunioni in cui si costruisce lo studio di settore ove partecipano gli imprenditori delle categorie. Un secondo momento, nella fase di applicazione dello studio di settore come strumento di accertamento: in sede di contraddittorio con l’ufficio in cui il contribuente ha la facoltà di dimostrare i motivi che lo hanno portato a non raggiungere il risultato di congruità stimato, ossia il contraddittorio.
E’ da tutti affermato e condiviso, che
l’adeguamento ai ricavi emergenti dagli studi di settore non costituisce
assolutamente un fatto automatico, ma un fatto eventuale, dovuto solamente nelle
ipotesi in cui il contribuente si riconosca nei ricavi stimati. A conferma di
quanto indicato, oltre alla stessa Circolare 23 gennaio 2008, n. 5/E ed i
documenti che segnano il percorso di revisione degli studi di settore (relazione
della commissione esperi del 6 novembre 2008, il comunicato stampa congiunto
dell’incontro con il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera del
12 febbraio 2009 ed i documenti della commissione esperti del 2 aprile 2009) si
vedano anche i documenti di risposta dell’allora sottosegretario alle finanze
Daniele Molgora, alle interpellanze
parlamentari n. 2-00207
(cfr Com. trib. 27.11.2008, n. 107) e n.
2-00330 (vedi
risposta video dell’allora Sottosegretario alle finanze Daniele Molgora)
Infatti, da un paio d’anni a questa parte - dietro un pressante suggerimento delle categorie firmatarie di entrambi i protocolli sugli studi di settore del 1996 e del dicembre 2006, abbiamo segnali incoraggianti per i quali l’Agenzia delle entrate dimostra una concreta volontà di far decollare il contraddittorio sugli studi di settore. In questo senso vedi, in particolare, quanto indicato nella Circolare 23 gennaio 2008, n. 5/E (cfr Com. trib. 06.02.2008, n. 13) e nella più recente Circolare 09 aprile 2009 n. 13, § 2.3)([5]).
Fino ad ora, infatti, la prima fase della c.d. «compliance» ha raggiunto il suo obbiettivo. Esempio da ultimo è proprio il fatto che la revisione congiunturale degli studi di settore è partita proprio da li. Nelle riunioni preliminari alla validazione degli studi di settore effettuate con i tecnici della SOSE (società per gli studi di settore) si è effettivamente cercato di mettere in evidenza sia le evidenti incongruenze che possono emergere dall’esame degli esempi di applicazione, testati utilizzando il prototipo dello studio di settore in revisione, sia quali sono i possibili motivi posti a giustificazione della mancata congruità dell’azienda testata.
Ci si rendeva conto sin da allora che il secondo momento di «compliance», cioè quello del contraddittorio era difficile e doveva essere realizzato con il tempo, attraverso la costruzione di un retaggio storico incentrato sull’applicazione concreta degli studi di settore per mezzo di un approccio economico-aziendale. Da numerose e ripetute segnalazioni del territorio, si deve tuttavia affermare che il contraddittorio in questi anni non è mai decollato, in quanto proprio negli anni in cui si sarebbe iniziata la campagna di accertamenti sul 1998 (anno di entrata in vigore di primi 45 studi di settore), cioè il 2002/2003 è anche entrata in vigore la stagione dei condoni fiscali (cfr legge n. 289/2002). I condoni fiscali coprivano, infatti, gli anni compresi dal 1997 al 2001, poi prorogati anche al 2002. Per il 2003 ed il 2004 si aspettava una seconda apertura che si è concretizzata nella sostanza attraverso il c.d. concordato preventivo biennale nel DL n. 269/2003 (ossia addirittura una sorta di condono preventivo).
Con quanto indicato nelle righe che precedono, non si vuole indicare che nei casi limitati in cui l’amministrazione finanziaria abbia effettuato accertamenti a mezzo studi di settore, non sia stata data ai contribuenti la facoltà di giustificare il mancato raggiungimento dei ricavi di congruità. Infatti l’instaurazione del contraddittorio in fase precontenziosa è stato riconosciuto da subito dall’amministrazione finanziaria anche nelle more della norma.
Quello che si rimprovera è una concreta difficoltà di valutare quale sia l’impatto di un determinato evento straordinario aziendale, non considerato dallo studio di settore, sui ricavi giudicati di congruità, ancorché rilevato nelle annuali circolari applicative emanate dall’Agenzia delle Entrate sugli studi di settore applicabili per l’anno d’imposta. Si tratta di valutare serenamente quale possa essere, ad esempio, l’impatto che ha avuto sui ricavi una ristrutturazione dei beni immobili per una parte rilevante dell’anno piuttosto che l’apertura di un grande supermercato nella zona in cui opera un piccolo alimentari ovvero, ancora, l’impatto sui ricavi di una vertenza sindacale che investe uno o più addetti dell’impresa, in termini di calo della produttività per addetto. E’ evidente, quindi, che al fine di garantire un efficiente ed efficace utilizzo dello strumento nei termini sopra indicati, occorra una preparazione non tanto in ambito tributario, ma piuttosto in ambito economico-aziendale., che non si è ancora realizzata.
Da quanto indicato, risulta evidente che le numerose indicazioni operative rilasciate dall’Agenzia delle entrate nella prassi sopra meglio indicate e nei documenti ufficiali condivisi, devono avere un adeguato riscontro a livello locale.
E’ quindi sempre più importante avere tramite l’ausilio delle sedi territoriali, indicazioni in questo senso. E’ fondamentale conoscere se le modalità di procedura dell’Amministrazione Finanziaria a livello locale risultino adeguate - anche progressivamente - alla prassi amministrativa sopra evidenziata. Solo così è possibile intervenire di nuovo a livello centrale. In questo hanno un ruolo fondamentale anche gli Osservatori regionali degli studi di settore. Si ricorda, infatti, che nell’ambito degli osservatori regionali, è possibile anche proporre delle questioni relative alla gestione del contraddittorio da parte degli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate della Regione (cfr Com. trib. 05.12. 2007, n. 112).
A prescindere da quanto sostenuto nei
paragrafi precedenti, la mancata congruità agli studi di settore esprime
comunque un giudizio sull’attività svolta dal contribuente, attribuendogli,
un alone di sospetto evasore ovvero di un soggetto che non riesce a gestire
l’azienda con la stessa efficacia con la quale i suoi diretti competitori
gestiscono le loro. Questo per sostenere che a prescindere dall’evidenza che
tra circa un milione di soggetti non in regola con gli studi di settore, sono
selezionati per l’accertamento a mezzo studi di settore solamente una
piccolissima parte (circa il 5%)[6]
è evidente che la mancata congruità determina, comune, un fattore di angoscia
per i contribuenti, a maggior ragione per i contribuenti in regola. Proprio per
questo motivo si ritiene che gli studi di settore per rendersi applicabili,
devono comunque avere un risultato di congruità più vicino possibile alla
realtà economica del Paese.
L’interesse che si è ritenuto di
proteggere con l’adeguamento congiunturale, non è, quindi, quello di ridurre
la richiesta in termini di ricavi effettuata dagli studi di settore, per il
semplice fatto che dagli studi di settore non emerge alcuna richiesta di ricavi,
ma quello di evitare - in tutti i
modi - che dagli studi di settore emergano stime che siano lontane dalla realtà
aziendale del momento creando ansia e preoccupazione negli imprenditori.
Questo è un elemento che deve essere
salvaguardato e garantito specialmente nei periodi di crisi in cui la mancata
realizzazione del valore aggiunto d’impresa è ascrivibile ad un fatto (crisi
economico finanziaria globale) indipendente dalla capacità dell’imprenditore.
Ed è proprio per questo motivo che
nel documento della commissione esperti del 2 aprile 2009, è stato suggerito
dalla CNA che fossero indicati tre punti fondamentali:
-
che soltanto l’acquisizione delle dichiarazioni per
l’esercizio 2008 consentirà una completa ed approfondita analisi tale da
garantire agli studi di settore un significativo livello di rappresentatività.
Questa rivisitazione sarà fatta nel 2010, in tempo utile per consentire
all’Agenzia delle Entrate di disporre di uno strumento adeguato per le
successive attività di selezione, controllo ed accertamento;
-
che in coerenza al pensiero espresso
dall’Amministrazione finanziaria in diversi documenti di prassi e da ultimo
nella circolare n. 5 del 2008 e nella Circolare n. 13/2009, si ribadisce la
natura assolutamente non «catastizzante» degli Studi di settore rispetto ai
ricavi o compensi da dichiarare.
-
in relazione ai periodi d’imposta 2008 e 2009
interessati da notevoli modifiche nel mercato provocate dalla crisi, il
risultato degli studi di settore sia accompagnato in sede di accertamento anche
da altri elementi in grado di rafforzare ulteriormente la pretesa tributaria e segnalata
all’Agenzia l’opportunità di adottare particolare prudenza nelle situazioni
in cui gli scostamenti saranno di lieve entità.
Da ultimo si ritiene opportuno
ribadire che il vero valore degli
studi di settore deve essere individuato nella possibilità delle associazioni
delle PMI di intervenire direttamente negli accertamenti induttivi delle piccole
imprese imponendo la costruzione di un metodo uniforme di accertamento su tutto
il territorio nazionale e dal conseguente allontanamento di accertamenti
erratici e non sempre fondati fatti autonomamente dall’Amministrazione
finanziaria.
Questa è solo l'ultima conferma delle potenzialità
dello strumento gia viste nella crisi settoriale del TAC, degli indicatori di
normalità economica, nella circolare 5 del 2008 dell’Agenzia delle entrate e
nella ultima Circolare n. 13/2009, nel caso «mucca pazza» piuttosto che i correttivi carburante e acciaio che,
da ultimo, hanno colto il c.d. «effetto
Cina».
a cura di Claudio Carpentieri - Ufficio Politiche Fiscali
(CC/cc/rev_studi settore)
[1] E’ bene sottolineare che due sedi (Piacenza ed Asti) sono state aggiunte in extremis nella giornata precedente al 22 aprile 2009.
[2] E’ vero, infatti, che la necessità di revisionare gli studi di settore già con riferimento al prossimo adempimento dichiarativo riferito all’anno 2008, era stata valutata in seno della riunione straordinaria della commissione esperti del 6 novembre 2008, indetta proprio in ragione delle testimonianze degli artigiani sugli effetti della crisi, rilasciate in occasione dell’attività di revisione ordinaria degli studi di settore.
[3] Dichiarazione del Direttore centrale Accertamento dell’Agenzia delle entrate Luigi Magistero, il sole 24 ore del 12 novembre 2008, pag. 33
[4] E’
vero, quindi, che l’ammontare di ricavi stimato dagli studi di settore può
essere anche superato, ma solamente qualora sia dimostrabile e dimostrato
nello stesso accertamento in rettifica del reddito che sussistano degli
obiettivi elementi di riscontro posti alla base di una convincente
ricostruzione dei ricavi, che smentisce la fondatezza dei ricavi stimati
dagli studi di settore([5]). In altre parole lo studio di settore può
essere superato da altre forme di ricostruzione induttiva dei ricavi
solamente nelle ipotesi in cui si riesca a dimostrare che nel caso specifico
lo studio di settore “fallisce”([6]). Si tratta, in sostanza, di
applicare in senso inverso, cioè dal lato dell’Amministrazione
finanziaria, il principio che consente ai contribuenti di non adeguarsi al
volume di ricavi stimato quando ritengono che lo studio di settore fallisca
nella ricostruzione dei ricavi in relazione al proprio caso specifico. In
entrambi i casi il tutto è rimandato alla credibilità e logicità delle
argomentazioni addotte dal contribuente o dall’Ufficio per dimostrare che
il volume di ricavi stimato dallo studio di settore, con riferimento al caso
specifico risulta non conferente perché troppo alto (per il contribuente)
ovvero troppo basso (per l’Ufficio).
[5] Per quanto riguarda la valenza probatoria degli studi di settore, vedi anche quanto indicato nell’Approfondimento .27 marzo 2008 n. 3.
[6] E’ bene ricordare che la selezione avviene sulla più o meno probbabilità di evasione del soggetto non congruo sulla base dei criteri selettivi indicati da ultimo nella Circ. Ag. 9 aprile 2009 n. 13, § 2.3.